*E' orrenda la sensazione che si prova quando si cerca qualcosa ma non la si trova.
Come se il mondo si fosse messo d'impegno per fare in modo di rovinarti la giornata, come se gli astri si fossero allineati, su nel cosmo, con tutti i propositi di renderti la vita impossibile.
Non che normalmente la vita del Dio del Vino fosse una passeggiata di salute.
Quella mattina in particolare, dopo l'ennesima delle infinite notti di bagordi, appena aveva avuto modo di riprendersi e di riuscire ad aprire gli occhi aveva scoperto di trovarsi nel proprio tempio, stravaccato sul gigantesco letto completamente sfatto, le braccia allargate e il capo reclinato da un lato, la testa appoggiata sul materasso anzichè sul cuscino, dal momento che si era ritrovato sdraiato per il verso della larghezza, il che non era un problema dal momento che il letto era ben più che largo.
Dopo essere disceso dal materasso ed essere riuscito a trascinare i piedi fino al bagno, aveva passato un tempo quasi infinito, pari a all'incirca due ore, sotto la cascata d'acqua corrente che gli Uomini amavano tanto chiamare doccia, lasciando che l'acqua calda gli scorresse addosso, lungo la schiena, rilassandolo e purificandolo dalla sbornia.
Quando si sentì finalmente soddisfatto uscì dal bagno, un asciugamano allacciato in vita e un altro intento a frizionargli la rossa chioma in modo piuttosto energico, e si diresse a passo lento verso la parte "pubblica" del tempio, nel punto in cui venivano offerti i sacrifici.
Non metteva nulla nello stomaco dal giorno prima, e quel che aveva messo nello stomaco il giorno prima era stato decisamente "poco solido" e assolutamente per nulla nutriente, perciò si ritrovava ad avere dannatamente fame.
Osservò l'altare al centro della lunga stanza vuota, posando un fugace sguardo, nel passarle davanti, alla statua che lo raffigurava, concedendosi un mezzosorriso mentre lo sguardo giallo si posava sulla superficie in marmo davanti a lui, alla ricerca del suo quotidiano nettare divino che.... non trovò.
L'altare era completamente vuoto, assolutamente spoglio: nessun sacrificio Umano, come accadeva ormai da secoli, nessuna brocca di vino e nemmeno una singola miseranda tazza di ambrosia.
Che suo padre avesse deciso di prenderle tutte per sè e trangugiare tutto il cibo di questo mondo?
Conoscendo la sua ingordigia poteva esserne più che capace, ma qualcosa gli fece cambiare idea.
L'altare non era completamente vuoto.
Sulla superficie in marmo, piegato quasi con cura meticolosa, c'era un biglietto, cosa che lo sorprese abbastanza, facendogli sollevare un sopracciglio, mentre l'ira che aveva già cominciato a montare in lui si assopiva momentaneamente e la mano che reggeva l'asciugamano sulla testa si rilassava lungo il fianco, lasciando che la stoffa spugnosa toccasse terra con un lembo.
C'era scritto qualcosa, su quel foglio, che il Dio dello strepito fece un pò fatica a comprendere...
"Il nettare più dolce sta nel fiore più nascosto
che in questo momento si trova in un altro posto
la casa del Poeta è il luogo in cui cercare
perchè solo la poesia il nettare può dare."
Il tutto firmato da un certo
Panfilo, scrittore di poemi moderni, residente a Tebe, con tanto di biglietto da visita e numero di telefono.
In un primo momento Dioniso rimase a fissare quelle parole scritte in modo preciso e accurato, anche se a mano, e si chiese se fosse tutto frutto di uno scherzo, un bruttissimo, orrendo, malevolo scherzo di qualcuno che si era limitato a nascondere il suo fondamentale nettare divino in qualche altro angolo del tempio, infatti si guardò intorno febbrilmente, passando lo sguardo da una parte all'altra.
Poi, siccome sul biglietto si parlava di un fiore, gli venne il dubbio che il malandrino in questione avesse lasciato l'ambrosia fuori in giardino, quindi uscì, praticamente mezzo nudo, infischiandosene altamente perchè troppo irritato, almeno sul momento, ma neanche lì trovò nulla.
Al che decise di porre rimedio alla cosa in maniera estrema, ovvero andare alla ricerca di questo fantomatico Panfilo.
Furente, rientrò nel tempio, nel suo angolo segreto, si mise addosso i primi stracci Umani che trovò, ovvero un jeans blu scuro con catena e una maglietta nera con stampa rossa che lasciava scoperte le braccia, e si precipitò giù sulla Terra, sparendo in una colonna di fiamme dall'Olimpo.
Dato che si sentiva, almeno al momento, troppo furioso per essere certo di non combinare danni irreparabili, si recò prima alla locanda, ad ammansire un pò la rabbia nell'alcool.
Se ne stava in piedi davanti al bancone, un gomito appoggiato al piano del tavolo , con la mano rilassata che pendeva verso il suo torace, e l'altro, sempre appoggiato al tavolo, che reggeva il bicchiere di vino rosso che stava bevendo.
Gli occhi erano socchiusi, lo stomaco gli brontolava abbastanza ma non poteva essere soddisfatto da banale cibo umano, e nella mano stringeva convulsamente il foglio che aveva trovato, fissandolo col suo inquietante sguardo giallo, mentre la gente iniziava a entrare nel locale, dal momento che, come sempre, il Dio dello strepito, dopo aver fatto le ore piccole, si era svegliato decisamente tardi, e tra una cosa e l'altra si era fatta sera.
Il piano era andare immediatamente alla ricerca del fantomatico Panfilo... appena finito di bere.*